Davvero nei momenti di crisi, occuparsi delle persone, passa in secondo piano?
“Purtroppo l’attuale versione della razza umana non comprende le questioni astratte perché le serve un contesto e il caso e l’incertezza sono astrazioni.
In altre parole, per natura siamo poco profondi e superficiali e non lo sappiamo”.
Quando mi dicono che nei prossimi mesi l’organizzazione del lavoro, il lavoro agile, l’armonizzazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, l’attenzione per le persone nelle aziende, l’allineamento, la formazione… non saranno temi cavalcabili, perché dovremo occuparci di una crisi economica, credo che la mia espressione sia simile a quella della ministra dell’istruzione svedese, quando qualche anno fa, le dissero che in Italia non si studiano più (o poco) le materie artistiche perché non danno da lavorare (una video intervista esilarante che purtroppo non riesco a ritrovare e proporvi). L’espressione era molto vicina a quella del bimbo della foto!
Provo di fatto una sensazione di forte sgomento nel notare che la capacità di produrre ricchezza viene spesso, in qualche modo, totalmente scollegata dalla natura umana.
Come se le innovazioni che hanno portato all’evoluzione della nostra specie, fossero state create da menti che perseguivano solamente, con razionalità e disciplina, la produzione di ricchezza, invece che dall’ingegno, dall’intelligenza, dalla passione, dalla creatività e soprattutto da uno scopo, che non era mai solamente quello economico ma di migliorare, di permettere alle persone di usufruire di strumenti utili e funzionali, di cambiare il mondo!
Nassim Nicholas Taleb ne “Il Cigno nero” ci ricorda che:
“Noi esseri umani amiamo il tangibile, la conferma il palpabile, il reale, il visibile, il concreto, il conosciuto, il visto, il vivido, il visuale, il sociale, il radicato, l’emotivamente carico, il saliente, lo stereotipato, il toccante, il teatrale, il romanzato, ciò che è di facciata, l’ufficiale, la verbosità che sembra erudizione (le stronzate), il pomposo economista gaussiano, le scemenze matematizzate, il fasto, l’Academie francaise, la Harvard Business School, il premio Nobel, i completi scuri con le camicie bianche e le cravatte di Ferragamo, il sermone toccante e il sensazionale, ma soprattutto preferiamo il narrato.
Purtroppo l’attuale versione della razza umana non comprende le questioni astratte perché le serve un contesto e il caso e l’incertezza sono astrazioni. Rispettiamo ciò che è accaduto, ma ignoriamo ciò che sarebbe potuto accadere. In altre parole, per natura siamo poco profondi e superficiali e non lo sappiamo. Questo problema non è di natura psicologica ma deriva dalla principale caratteristica dell’informazione. Il lato oscuro della luna è più difficile da vedere e illuminarlo con raggi di luce richiede molta energia. Illuminare il non visto richiede molto sforzo, da un punto di vista sia computazionale che mentale.”
Il Covid non ha fatto cambiare le persone, non è “andato tutto bene” ma come accade sempre con le “emergenze”, ha fatto “emergere”, ha fatto venire a galla ed ha esaltato ciò che c’era già.
Da un punto di vista aziendale, le aziende che erano già solide come struttura, come capitale umano, che avevano già lavorato per avere al loro interno relazioni sane ed un’organizzazione del lavoro basata su senso di responsabilità, coinvolgimento, partecipazione, hanno affrontato i mesi di lockdown con più facilità rispetto a chi ha ritenuto questi temi sempre secondari, tanto da avere un’organizzazione debole.
Trovo innumerevoli liaison tra la la scuola e il mondo del lavoro.
A scuola non insegniamo ai bambini l’arte, la musica, il movimento sano volto allo sviluppo psicofisico e all’espressione di sé e non insegniamo più neanche l’educazione civica.
Nelle aziende rischiamo ancora di segregare tutto ciò che riguarda lo sviluppo umano, la possibilità di far emergere il talento delle persone, per farle lavorare e vivere al loro meglio, ad un lusso praticabile solamente quando rimane spazio dalla gestione (cronica) delle urgenze o addirittura quando, ancora prima di iniziare qualsiasi tipo di attività, deve essere possibile misurare un ritorno economico.
Oggi e nei prossimi mesi avremo bisogno di creare innovazione e vantaggio competitivo. Il mercato non fa sconti.
Abbiamo bisogno che le aziende siano al massimo di ciò che possono essere e per poterlo essere, ogni singolo ingranaggio del motore deve funzionare alla perfezione.
Ci sentiremmo di partire per un lungo viaggio, lungo una strada in parte sconosciuta ed impervia, con una macchina dalla bella carrozzeria ma senza il motore e tutti gli ingranaggi ben funzionanti e magari con poco carburante?
Oggi c’è bisogno più che mai di persone capaci, ingaggiate, coinvolte, appassionate e, per questo, motivate.
Sono il motore più forte e resistente che possiamo avere e sono il carburante e le stazioni di servizio quando si rischia di rimanere a piedi.