La salute dei collaboratori alla base della produttività aziendale. Il lato welfare di cui nessuno parla
Quanto costa alle aziende la non-salute dei propri collaboratori? E quanto pesa sulla produttività aziendale?
Il 27 ottobre scorso si è tenuto a Verona, presso la prestigiosa sede di Vecomp Academy, un importante incontro su un tema welfare veramente poco trattato: la salute dei collaboratori nelle aziende.
Che la gestione del capitale umano sia un punto cruciale per il buon funzionamento delle aziende, è già noto. Ciò che non è così chiaro è quanto la non-salute dei dipendenti possa pesare sui bilanci aziendali.
E’ stimato che oggi circa il 25% della popolazione europea soffra di almeno una malattia di tipo cronico ed è stimato che almeno il 19% sia forza lavoro.
Portando questi numeri sul piano nazionale, è stimato che ciò costerà all’Italia 700 mil di Euro, ovvero il 70-80% dell’intera spesa sanitaria nazionale. (*)
Da un punto di vista aziendale significa assenze, disabilità prolungata, ridotta produttività e riduzione di redditi per le famiglie.
In uno dei Paesi più “vecchi” del mondo (nel 2050 saremo terzi solamente dopo Giappone e Spagna), pensare a pensioni anticipate o congedi sarà assolutamente insostenibile.
Ma facciamo un passo indietro…
La salute non è assenza di malattia. L’OMS nel 1946 l’ha definita “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”.
Citando Rita Levi Montalcini, Francesco Menconi, uno dei relatori dell’evento – operatore in metodologie antiaging, antistress certificato presso La Sapienza di Roma, specializzato in analisi della composizione corporea e del sistema nervoso centrale – dice “quello che molti ignorano è che il nostro cervello è fatto di due cervelli: cervello arcaico e mente cognitiva. Il primo è localizzato nell’ippocampo, non si è praticamente evoluto da tre milioni di anni a oggi e non differisce molto tra l’homo sapiens ed i mammiferi inferiori…”. Continua Menconi: “Questo cervello possiamo chiamarlo della “lucertola” non è educabile, non è gestibile, è la nostra reazione profonda ed istintiva, gestibile in parte dalla nostra mente cognitiva che a sua volta è influenzata da un’armonia mente corpo che conduce al benessere. Sin dall’antichità gli orientali sostengono che mente e corpo hanno radice uno nell’altro: sono interdipendenti, hanno origine reciproca, l’uno non può esistere senza l’altro. Oggi evidenze scientifiche hanno confermato questa interdipendenza mente corpo, confutando la teoria che vorrebbe la mente al di sopra di tutto.”
E questo forse è uno dei motivi per il quale nelle aziende, quando pensiamo alla formazione, pensiamo alla formazione di competenze tecniche, o alle soft skills ma mai ad una formazione che riguarda la salute del corpo. Come se le persone avessero solamente la testa e il resto del corpo non esistesse.
E così, per chi non ha attenzione per il proprio corpo, iniziano ad un certo punto, tutta una serie di “fastidi” prima e dolori poi, ritenuti in qualche modo “normali” ma in realtà segnali molto chiari, che hanno ripercussioni evidenti sul corpo e un po’ meno evidenti, ma solo all’apparenza, sulla mente.
Nicola Santobianchi – fisioterapista, trainer Coni-SnaQ, docente tecnica Gavilàn – ci ricorda che “da sempre la salute è una condizione relativa (per un carcerato, ad esempio, la salute è lo spazio libero che sta oltre le sbarre)” e ci riporta alcuni studi e pubblicazioni scientifiche relativamente ad una serie di malattie croniche che insorgono tipicamente in ambito lavorativo. Il dolore cronico in aree specifiche del corpo come zona lombare, collo e spalle, ad esempio, a causa di lunghi periodi di seduta e di inattività, è il disturbo muscolo-scheletrico più diffuso in tutto il mondo e ha conseguenze sia socioeconomiche che personali. Questa condizione è particolarmente prevalente nei paesi industrializzati e interessa circa il 70% all’80% degli adulti: ridurre queste sintomatologie avrebbe un significativo impatto sulla qualità della vita e del lavoro. “Per prevenire e curare il dolore muscoloscheletrico nei lavoratori che stanno quasi sempre in ufficio, una serie di esercizi sono preferibili ai trattamenti farmacologici, che possono avere effetti collaterali indesiderati e che nel lungo tempo, perdono di efficacia. L’obiettivo principale di un’attività mirata sarebbe quello di aumentare la flessibilità e la forza dei muscoli del tronco al fine di ridurre l’affaticamento, il dolore e il grado di disagio”.
E quindi quale sarà la soluzione con numeri, non sostenibili né da un punto di vista economico, né da un punto di vista demografico, per il nostro Paese e per le aziende?
La sfida è quella di creare una modalità lavorativa che si adatti alle esigenze delle persone, che accolga le necessità legate alla flessibilità, ad orari gestibili, ad ambienti di lavoro sani e che contestualmente conduca le persone ad un’attività che le veda sempre più responsabili della propria attività, dei propri risultati e di sé stessi. Compreso il tema della salute.
Alla base di ciò, un cambiamento culturale forte che coinvolga la persona nella sua interezza e che rappresenta una grande opportunità per le persone, nonché un cambio di paradigma strategico per ridurre i costi ed aumentare la produttività aziendale, con un evidente ritorno anche per il territorio e il Paese.
(*) Fonte: ENWHP Rete europea per la promozione della salute nei luoghi di lavoro
