Parità di genere e sviluppo organizzativo: ci stiamo ricordando di farli dialogare?
13 febbraio 2024
Le politiche sulla parità di genere, soprattutto con la spinta sulla Certificazione UNI/PDR 125:2022, sembra si stiano divulgando rapidamente, o almeno è quanto emerge dai social negli ultimi mesi.
In se’ è una bella notizia perché c’è davvero la necessità di lavorare su questi aspetti.
Siamo fanalino di coda in Europa rispetto sia alla natalità (1,24*) che all’occupazione femminile (51,1%**) e il problema principale è la totale insostenibilità economica per i prossimi anni e decenni, causata dal fortissimo squilibrio sia a livello demografico che occupazionale, che ha impattato e sta impattando nel mondo del lavoro.
Le cause della disparità di genere le ha ben descritte Claudia Goldin, economista, storica, sociologa, demografa, nonché docente dell’Università di Harvard, nei suoi studi sul gender gap che nel 2023 le sono valsi il Nobel per l’Economia e riguardano, a grandi linee, tre macro aree: cultura, normative e difficoltà a conciliare vita e lavoro. La terza è più una conseguenza delle prime due in realtà. Qualcuno se n’è accorto un po’ di anni fa e ha iniziato a creare delle politiche, soprattutto a livello normativo ed economico, così da creare un po’ per volta, anche una cultura differente, sia rispetto alla gestione della genitorialità, che rispetto ad una eguaglianza di genere nel mondo del lavoro.
I Paesi che da decenni hanno attuato politiche per il sostegno della natalità e a favore delle famiglie, oggi hanno risultati un tantino diversi dai nostri. Si pensi ad esempio alla Germania (natalità 1,53* – occ. F. 73,1%**) e alla Francia (natalità 1,83* – occ. F. 65,6%**). In realtà sull’occupazione femminile tutti fanno meglio di noi perché siamo proprio ultimi ultimi in Europa.
Al sud l’occupazione femminile scende al 34,4% (Istat 2022) e il Nord si assesta su un 60,8%, ben al di sotto della media europea del 64,9%.
Abbiamo quindi dei sintomi e delle cause.
Lato aziende, su che cosa stiamo lavorando davvero con le azioni che stiamo mettendo in campo, per la parità di genere?
Partiamo dal presupposto che uno dei pilastri della nostra cultura lavorativa, ancora oggi, collega la produttività ad una presenza pressoché costante, ritmi frenetici, susseguirsi di call conference, riunioni, connessione flat e KPI che alzano costantemente l’asticella su numeri legati quasi esclusivamente agli aspetti commerciali.
Cambiare rotta e diventare un Paese con aziende così attente all’occupazione femminile e alla natalità, tanto da rivedere gli orari, le flessibilità, la gestione del tempo, l’organizzazione più basata sull’asincrono che sul sincrono, la misurazione più delle attività effettivamente svolte che di tempi e luoghi rigidi di lavoro e molto altro (per entrambi i generi ovviamente), ovvero ambienti di lavoro responsabili e maturi… è un cambiamento spesso enorme in molte organizzazioni.
Servono passione, capacità di mettersi in discussione, di guardare oltre a ciò che si è sempre fatto e serve soprattutto congruenza tra le procedure che vengono definite per le diverse certificazioni e quelle che vengono agite negli ambienti di lavoro.
Per lavorare su una almeno discreta armonizzazione vita-lavoro, è fondamentale che prima di tutto la persona possa riuscire ad avere un minimo di equilibrio tra le due parti che, per essere chiari, significa ritmi e tempi sostenibili ma anche un ambiente lavorativo con un clima che permetta di lavorare al meglio, mettendo in gioco impegno, capacità, competenze e talenti. Aspetti che ovviamene non sono di sola pertinenza delle aziende. Ma qui dovremmo aprire un altro capitolo.
Poi c’è da considerare anche l’aspetto di Diversity & inclusion, che prevede allargare ulteriormente gli orizzonti di una ipotetica osannata “normalità”, a etnie, culture, generi, età, molto diverse. Oggi ci sono circa 6/7 generazioni che convivono in azienda: abbiamo idea di quanta e di quale diversità stiamo parlando? Sono tanti gli aspetti di innovazione sostanziale che stanno bussando alle porte e che non possiamo rifiutarci di gestire.
L’evoluzione delle organizzazioni su questi aspetti, prevede un percorso importante e sicuramente di medio-lungo termine, che si può attuare con diversi strumenti, da integrare nella strategia aziendale e che deve coinvolgere la proprietà e la direzione aziendale, così come tutti i collaboratori. Che va portato avanti lavorando gradualmente, costantemente e coerentemente, sulla cultura (e si sa i cambiamenti culturali non sono mai immediati…) e anche su azioni, a volte piccole a volte un po’ meno, che risultino impattanti e che intervengano nella quotidianità e sulla sostanza dell’organizzazione.
*Ricerca Fondazione Magna Carta maggio 202
**Fonte Eurostat 2022