“Fatti non foste a viver come bruti …“ tantomeno come criceti nella ruota
Lavoro ibrido, smart working, work life balance, grate resignation… tanto rumore per nulla o motivazioni e significati che vanno ben oltre i temi organizzativi delle aziende?
“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”
Questo appello del sommo poeta nella Divina Commedia, sembra essersi perso nella notte dei tempi, tanto da sostituire l’immagine che evocava questo verso, di un uomo ben eretto, riflessivo o impegnato in attività che mettessero in gioco ingegno, capacità e saper fare, con quella di un uomo, ricurvo su sé stesso per giornate intere, davanti ad un device, o addirittura come un criceto nella ruota, nella quale purtroppo molti di noi oggi si riconoscono.
Eppure, in quanto essere umani, dovremmo fare tesoro della nostra intelligenza, seguire i nostri talenti, le nostre capacità, competenze e farle crescere ed evolvere a beneficio di noi stessi, delle nostre attività lavorative, delle persone che abbiamo intorno, di un’evoluzione della specie, che punta allo sbarco su Marte da un lato ma implode in un modello insostenibile dall’altro.
Qualcuno se ne sta accorgendo? Sta arrivando questo richiamo da quella parte più profonda di noi, dal nostro cervello rettile che ci fa reagire in modo istintivo per salvarci la vita?
Se la ruota continua a girare e noi continuiamo a correre con lei, diventa abitudine, normalità, difficile vederci dall’esterno e consapevolizzare davvero cosa sta accadendo. Ma la ruota, per un po’, ha rallentato. Per qualcuno si è fermata.
E seppure nella morsa di restrizioni, incertezza, disagio e paura, persone professionisti, organizzazioni, famiglie, hanno iniziato a guardare oltre, con la variabile di chi si trova nelle condizioni per poter decidere con maggiore autonomia, mentre per qualcun altro risulta più complicato.
Tra aprile e settembre 2021, 19 milioni di americani si sono dimessi, senza avere alternative. Nel 2021 e primi mesi del 2022, in Italia, li hanno seguiti circa 1 milione e 300 mila persone. E’ stata definita “grate resignation” (A. Klotz).
Osserviamo anche cosa è accaduto e sta accadendo con la gestione del lavoro: il 31 agosto sono scaduti i termini per poter continuare a svolgere l’attività lavorativa in modalità di smart working, in assenza di un accordo individuale.
La norma che regolamenta il lavoro agile è del 2017 ma per sdoganare una modalità di lavoro che prevedesse almeno di poter lavorare da remoto, con prima di tutto un grande risparmio di tempo, spese di trasferta, inquinamento, maggiore possibilità di riuscire a conciliare tempo e lavoro e molto altro, abbiamo dovuto attendere una pandemia nel 2020, che ha fatto rimanere tutti a casa. Così, in emergenza, ci si è organizzati per farlo. Gli smart workers in Italia a febbraio 2020 erano poco meno di 600 mila, un mese e mezzo dopo hanno superato i 6 milioni.
Alcune aziende si erano già organizzate prima, introducendo un po’ alla volta una cultura del lavoro basata su responsabilità, consapevolezza, attenzione ai risultati e non a tempi rigidi, luoghi fissi e statici, comando e controllo. Non è un passaggio immediato, necessita di tempo. E’ un cambiamento importante nell’organizzazione del lavoro, nella gestione delle persone, nella leadership, negli strumenti e nel loro utilizzo e soprattutto lo è nella cultura aziendale.
La cultura aziendale si basa su valori, abitudini, mission e vision aziendale e si traduce in comportamenti agiti, qualità di relazioni, crescita o decrescita delle persone e tutto questo diventa poi anche modello di business e risultato aziendale.
Ad oggi, da una ricerca di Variazioni Srl, risulta che solamente il 56% delle aziende, ha una policy strutturata per l’attivazione dello smart working.
E il rimanente? Come affronterà un cambiamento di lavoro epocale?
Perché non è solamente smart working SI o smart working NO. Non sono 1, 2, o 4 giornate da remoto o in ufficio. E’ come viene strutturata quell’attività.
Quando devo lavorare da casa e quando è importante essere in presenza?
Come vengono gestiti i tempi, gli spazi, le attività?
Chi ha gli spazi e gli strumenti per lavorare da casa e chi no?
Chi ha l’autonomia e la capacità organizzativa per operare da solo e chi invece ha la necessità di lavorare fisicamente in team?
Sono solo alcune delle domande alle quali rispondere per strutturare una modalità organizzativa sostenibile per le persone e le organizzazioni. Le risposte sono sempre diverse per ogni realtà e non ci sono accordi standard da adottare.
Altrimenti diventa come un abito taglia unica che alla fine non sta bene a nessuno.
A mio avviso e per la mia esperienza, lavorando da quasi 10 anni con organizzazioni di diversa tipologia e dimensione, sui temi dello sviluppo organizzativo, della conciliazione vita-lavoro e dello smart working, alla base di terminologie alle quali attribuire significati diversi nella sostanza o solamente nelle sfumature, ci sono, oltre a quelli già citati, alcuni elementi cruciali di cui tenere conto: il valore del tempo, merce rara ormai per tutti e la gestione dei conflittiche si generano costantemente all’interno di qualsiasi ambito relazionale.
Il tempo è una delle più importanti risorse di cui la maggior parte di noi dispone in modo troppo limitato e di cui è perennemente alla ricerca.
Citando il testo di David Bevilaqua “Ibridomania”, è necessario dare un ritmo al tempo, come ci dice Daniel Angiman, direttore d’orchestra, nella prefazione.
Il continuo sconfinamento tra tempi in cui si è concentrati su qualcosa di specifico e qualcos’altro che lo interrompe, causa perdita di ritmo, di concentrazione, di attenzione verso ciò che stiamo facendo. Sia che si tratti di lavoro, sia che si tratti di un momento dedicato a sé stessi, agli affetti, agli amici. Alimentare la cultura del “too busy” è estremamente pericoloso, sia per la salute delle persone che per la sostenibilità dell’azienda.
Come dice Bevilacqua, questo concetto è stato mutuato dall’attività agonistica, ignorando che anche in quella sono necessari tempi di allenamento e tempi di riposo, per performare.
Ci sono poi i conflitti che si generano ovunque ci sia una relazione tra persone e che come si racconta in “Leadership e autoinganno”, sono prima di tutto la conseguenza di “come consideriamo gli altri”. Li consideriamo davvero persone o li consideriamo come qualcuno, qualcosa che fa parte del meccanismo, creandoci così un alibi per i nostri comportamenti poco attenti verso gli altri, eccessivamente protettivi e ingannevoli verso noi stessi, causa di una visione distorta delle cose?
E non è forse vivere perennemente in accelerazione e iper stimolazione che ci porta ad avere poca attenzione per gli altri e una visione distorta delle situazioni?
Sembra proprio un circolo vizioso…
Il contesto nel quale ci stiamo muovendo è sicuramente di grande complessità perché gli elementi che subentrano costantemente e velocemente, sono molti e molto diversificati tra di loro. Ma quanto ciò diventata “normalità” e addirittura “status”, nel tentativo di esserci e prevalere, dove potenzialmente possono esserci tutti?
In mezzo a tanto frastuono, ricordarsi che “nati non foste per viver come bruti ma per seguire virtute e canoscenza” potrebbe forse ridare una prospettiva di senso, che rimane fortunatamente uno dei driver più forti che sta accompagnando molte persone verso scelte di vita e cambiamenti sempre più significativi.